Partire
Umberto Galimberti,
Psiche e Techne
14 x 22 – 812 pag.
Feltrinelli – 1999
Corpo diviso in Occidente, corpo abbandonato nel continente Indiano.
Corpo sbilanciato nell’immensa Cina, corpo usato nelle pratiche religiose e salutiste del Sud del mondo.
Il nostro viaggio alla ricerca della comprensione del corpo, iniziato guardando dentro di noi ( cfr. “Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé” ) e proseguito nello studio dei sistemi culturali messi a punto dalle varie civiltà del mondo, si trova ora ad un primo punto di svolta.
Se in ognuna delle culture in cui abbiamo gettato lo sguardo è stato possibile reperire a volte tracce, altre volte modelli compiuti di comprensione della realtà umana, è pur vero che, di questi modelli, quello Occidentale si è dimostrato vincente nell’ambito dell’evoluzione tecnologica ed è stato ( o sta per essere ) fatto proprio da tutte le altre culture.
Nel suo insieme, il “sistema Occidentale” sembra essere l’unico sistema sociale possibile, l’unico capace di garantire un futuro all’uomo. Se il fare tecnologico ha garantito all’umanità la possibilità di costruirsi un ambiente a propria misura, il mondo tecnologico nel quale noi viviamo è divenuto l’unico mondo possibile.
Ma un mondo per quale tipo d’uomo?
Che fine ha fatto il corpo nell’età della tecnica?
Come marinai sopravvissuti ad una grande burrasca, noi guardiamo agli altri popoli che, ignari, si apprestano a diventare tecnologici, e ne abbiamo quasi compassione, immaginandoli condannati a subire la nostra stessa sorte, quella di chi apparentemente ha perso il contatto con il corpo, cioè con sé stesso.
Forse buona parte della paura di tutto ciò che è “tecnico” che va manifestandosi fuori e dentro l’Occidente, ha nella consapevolezza della possibile perdita della propria identità la sua causa più profonda.
Lo sviluppo tecnologico procede infatti per proprio conto, forte del dogma “tutto ciò che si può fare si fa” e l’uomo, da utilizzatore della tecnica come mezzo per conseguire fini, si scopre ora ingranaggio tra gli ingranaggi, al limite sacrificabile se la “Macchina” funziona meglio di lui.
Questo sviluppo inatteso comincia da molto lontano.
Ogni cultura ha portato alla luce un aspetto particolare del nostro essere uomini: la tensione corporea verso il Divino propria del mondo Indiano, l’equilibrio mutevole della spinta vitale scoperto dai saggi Cinesi, il contatto concreto, carnale con l’energia libidica conservato come il più prezioso dei tesori dai popoli del Sud del mondo.
Ma è stato l’Occidente che ha inventato la coscienza come modello intellettivo che si pone fuori del corpo, come se potessimo staccarci da noi stessi. Tutta la nostra storia è percorsa dal bisogno del distacco, ma se il monaco Indiano vuole elevarsi per entrare nel Divino, se il saggio Cinese vuole porsi al di sopra per controllare meglio il corpo e lo sciamano usa il corpo per entrare in dimensioni altre, ebbene, solo l’uomo Occidentale ha cercato di distaccarsi da sé per vivere in eterno. E ha cercato di farlo attraverso la tecnologia.
“Psiche e techne” di Umberto Galimberti affronta in maniera esemplare la riflessione sul destino dell’uomo nell’età della tecnica.
Il desiderio di eternità, la consapevolezza della propria diversità rispetto agli altri animali, l’inferiore capacità istintuale superata dal fare tecnico fino a far diventare il mondo un ambiente artificiale, sono gli ambiti nei quali l’autore si inoltra, aiutato dalla bussola dell’indagine fenomenologica.
Il “corpo tecnologico” che in questo modo affiora manifesta concretamente la schizofrenia dell’uomo moderno, massificato dalla moda, sacrificato nei continui processi di evoluzione tecnologica che comportano “inevitabili” tagli del personale, privato della propria intimità dalla mancanza di relazioni corporee vere, prima ancora che dal decadimento del senso del sacro.
Eppure, nota Galimberti, ancor oggi l’umanità non è all’altezza dell’evento tecnico da essa stessa prodotto e, forse per la prima volta nella storia, la sua sensazione, la sua percezione, la sua immaginazione, il suo sentimento si rivelano inadeguati a quanto sta accadendo (…). Quanto più si complica l’apparato tecnico, quanto più fitto si fa l’intreccio dei sottoapparati, quanto più si ingigantiscono i suoi effetti, tanto più si riduce la nostra capacità di percezione in ordine ai processi, ai risultati, agli esiti, per non dire degli scopi di cui siamo parti e condizioni.
E siccome di fronte a ciò che non si riesce né a percepire né a immaginare il nostro sentimento diventa incapace di reagire, al “nichilismo attivo” della tecnica iscritto nel suo “fare senza scopo”, si affianca il “nichilismo passivo” denunciato da Nietzsche, che ci lascia “freddi”, perché il nostro sentimento di reazione si arresta alla soglia di una certa grandezza.
E così da “analfabeti emotivi” assistiamo all’irrazionalità che scaturisce dalla perfetta razionalità (strumentale) dell’organizzazione tecnica che cresce su sé stessa al di fuori di qualsiasi ordine di senso (pag. 47).
Continuiamo a costruire armi atomiche quando quelle esistenti sono già sufficienti a distruggere il nostro pianeta migliaia di volte.
Insiste Galimberti: il fatto che la tecnica non sia ancora totalitaria, il fatto che quattro quinti dell’umanità viva di prodotti tecnici, ma non ancora di mentalità tecnica, non deve confortarci, perché il passo decisivo verso “l’assoluto tecnico”, verso la “macchina mondiale” l’abbiamo già fatto, anche se la nostra condizione sentimentale non ha ancora interiorizzato questo fatto, quindi non ne è all’altezza (pag. 714).
La storia, la religione, l’etica e la morale arretrano di fronte allo sviluppo tecnologico, e così affonda la nostra ricerca di senso, il nostro bisogno di capire chi siamo.
Cionondimeno, se fuori dall’operare tecnico non è possibile la vita per l’uomo, è questo operare che va indagato, per divenire capaci di quell’ampliamento della capacità di immaginare gli effetti ultimi del nostro fare e permettere così all’uomo di approfondire il proprio sentimento, la sua capacità di avvertire la situazione ad un livello antecedente l’analisi razionale, e di agire e reagire ad essa in base a quanto percepito.
Un libro sulla tecnica che termina con l’esortazione allo sviluppo del sentire quale forma ultima per poter ancora consapevolmente affrontare il futuro che ci attende. Un libro splendido.